Calcio Lecco, un affare di famiglia

Lecco-Foggia allo Shamrock Irish Pub

Una città in silenzio, una tensione latente. Uscire di casa ieri pomeriggio a piedi e percorrere le vie di Lecco sarà sembrata a molti lecchesi un’esperienza surreale, certamente rara da queste parti per un evento sportivo, solitamente riservata a giornate colorate d’azzurro nazionale. Un silenzio di tomba con striscioni e cartelli blucelesti sparsi per la città accompagnava i passi delle persone mentre il sole scaldava il prato dello stadio. Da tanti, troppi anni il tempo non si fermava per questi colori. Per molti dei tifosi che ieri hanno invaso il Rigamonti Ceppi e successivamente le piazze del centro, era la prima volta. Nel 1973 il Lecco di Mario Ceppi salutava la Serie B e forse pochi appassionati dell’epoca pensavano che avrebbero dovuto attendere esattamente cinquant’anni per rivivere situazioni analoghe e che molti di loro non le avrebbero più vissute. Sarà la dodicesima partecipazione al campionato cadetto nella storia manzoniana e curiosamente la promozione è arrivata proprio il 18 giugno 2023, a cinquant’anni e un giorno esatti dall’ultimo match in Serie B, giocato al Ferraris di Genova contro i rossoblu liguri in procinto di tornare in Serie A.

Lecco, montagna ripida e ferrigna

L’attenzione crescente che la squadra di Luciano Foschi si è guadagnata nelle ultime settimane è nata da un percorso a tappe vissuto sempre con l’ironia della casualità, lo sberleffo preventivo di avversari con mezzi superiori che osservavano superbamente le aquile manzoniane come semplici passerotti da agguantare e divorare in un sol boccone. E invece, confermando la più classica e telefonata trama di Davide contro Golia, il Lecco ha elevato le caratteristiche peculiari che nella regular season l’avevano condotto ad un campionato in costante (o quasi) contatto con i piani alti, talvolta anche con velleità da primato. Foschi, vecchio volpone del calcio di provincia e soprattutto vecchio cuore bluceleste, ha conferito quella tigna necessaria ad un gruppo che ad inizio anno pareva svuotato da un paio di stagioni iniziate con entusiasmo e concluse con il fiato corto. L’addio del direttore Fracchiolla – al quale oggi bisogna riconoscere una buona fetta di merito per la base costruita in passato – le consuete uscite del patron Di Nunno e l’assenza improvvisa del fiore all’occhiello del calciomercato estivo, un bomber esperto e di categoria come Umberto Eusepi, potevano essere degli aspetti difficili da assimilare positivamente e in effetti il periodo di sbandamento con Tacchinardi aveva portato al cambio in panchina. Ma l’ascesa è stata costante e in poche settimane i blucelesti avevano trovato la quadra e una solidità insperata, degna delle montagne che circondano la città. Un Lecco ostico da affrontare, “ripido e ferrigno” come la Grigna, che ha trovato forza nella sottovalutazione altrui e consapevolezza di esser lì, a pochi passi dalla storia.

Quel ramo del lago esiste e ha un nome

Uno degli aspetti più evidenti che quest’ultimo folle – e speriamo ripetibile mese – di calcio bluceleste ha procurato è la presenza del nome della città praticamente ad ogni latitudine mediatica e social. Fateci caso. L’impresa inaspettata della società magistralmente guidata dalla famiglia Di Nunno ha quasi costretto l’attenzione dello Stivale verso quel ramo del lago che non è di Como ma è Lario e non è Como ma è Lecco. Per molti lecchesi è sembrata la prima volta, abituati a sentir parlare di Alessandro Manzoni – del quale quest’anno ricorrono i 150 anni dalla morte e che gran bel regalo gli ha fatto la squadra – associato spesso ad altri luoghi del suo celebre romanzo, I promessi sposi; Milano, Como, talvolta addirittura Bergamo. L’omissione o la consueta disattenzione nei confronti di Lecco e del suo territorio nelle narrazioni giornalistiche nazionali si è tradotto in sorpresa e sarcastico stupore per i cittadini nelle ultime settimane, leggendo di Lecco su tutti i media, con relative immagini del territorio e dei colori blucelesti. Forse si sono sbagliati? Si riferiscono ad un’altra squadra, un’altra città? Ieri un drone di Sky sorvolava il Rigamonti Ceppi e mostrava ad un nutrito bacino di utenti televisivi lo splendore di Lecco, ben valorizzato da Foschi e i suoi ragazzi in campo. Certo, ora l’asticella si alza e l’occasione è ghiotta, non solo per il comparto sportivo ma per tutto il territorio. L’obiettivo dev’essere quello di dare un ulteriore motivo positivo alla stampa di concentrarsi su una piazza come Lecco – non solo dal punto di vista sportivo – calcisticamente assente al ballo delle grandi da parecchio tempo ma desiderosa di parteciparvi tra qualche settimana.

Un panino una birra e poi…

Ieri la partita l’abbiamo vissuta al fianco dei tifosi riunitisi allo Shamrock Irish Pub, uno dei locali ritrovo del tifo lecchese, con le bandiere blucelesti appaiate a quelle verdi dell’Irlanda. In mezzo un panino, una birra e poi… come cantava Lucio Battisti, che nel lecchese ci ha vissuto fino alla scomparsa. E poi… la partita, il racconto di emozioni che s’intersecano, braccio contro braccio, sguardo fisso sullo schermo. Il goal immediato del Foggia entusiasma un paio di supporter pugliesi residenti in Lombardia, che si lasciano andare ad un abbraccio talmente spontaneo e gioioso da smorzare il nervosismo dei lecchesi presenti per una sfida che sembra ora avviarsi verso lunghi minuti di sofferenza per Foschi e i suoi.
«Anche all’andata abbiamo preso subito goal ma poi ci eravamo ripresi immediatamente» esclama un tifoso. In effetti il primo tempo di marca rossonera crea qualche apprensione che nel locale, tra un sorso di bionda e un morso al panino, si percepisce palesemente. Fino al minuto 34, quando Ogunseye scalcia Bianconi in area pugliese e l’arbitro Di Marco, dopo consulto al VAR, concede il penalty ai blucelesti, trasformato dal simbolo di questa stagione lecchese. Franco Lepore, 38 anni ad agosto, esemplare nel trascinare i propri compagni ed entrato di diritto nel novero delle leggende manzoniane.

Ed è in questo momento che lo spirito sano e aggregativo dello sport si manifesta nella sua veste migliore. Veniamo travolti da un’ondata di gioia che ci porta ad abbracciare sconosciuti, perché entusiasmi di questo tipo abbattono ogni barriera e ti permettono di condividere emozioni che pochi altri eventi sanno regalare. Così come chi scrive non dimenticherà mai il sorriso commosso scambiato con la propria compagna a partita finita dopo averle raccontato la cronaca di un match storico o il pensiero rivolto a chi avrebbe meritato di vivere giornate come questa e forse da qualche parte della Curva Nord ha dato il proprio contributo, così ognuno dei fan del Lecco ieri ha abbracciato un familiare, un amico, uno sconosciuto. Ognuno ha pensato a tutti quei tifosi, cuscinetto da stadio sottobraccio o bandiera tra le mani, che hanno alimentato negli ultimi cinquant’anni il tifo per questo club unico nei colori e appassionato, talvolta sfortunato e autolesionista. Un tifo che ha permesso all’aquila di spiccare il volo in uno dei primi pomeriggi caldi di questa imminente stagione estiva. Anche loro, che oramai vivono nei ricordi delle stagioni blucelesti, hanno sospinto il Rigamonti Ceppi e una città intera verso lacrime che ieri ci hanno dimostrato cosa significa essere orgogliosi e gioiosi, tutti uniti, all’ombra del Resegone. E ci hanno rammentato che in fondo, per tutti noi cittadini di un piccolo centro imperfetto e sottovalutato, coccolati tra lago e monti, il Lecco rimarrà sempre un affare di famiglia.