25 Aprile: la cerimonia a Lecco

La città di Lecco ha celebrato questa mattina la cerimonia dedicata alla Festa della Liberazione. Numerose le cariche pubbliche presenti nel Cortile di Palazzo Bovara e successivamente in largo Monte Nero di fronte al Liceo Grassi.

Proprio in Municipio il Primo cittadino Mauro Gattinoni ha fatto gli onori di casa, aprendo la giornata celebrativa.

“Buongiorno a tutti e grazie per essere qui numerosi. Un saluto a Sua Eccellenza il Signor Prefetto di Lecco Sergio Pomponio, al Vicepresidente della Provincia di Lecco Mattia Micheli, al Presidente dell’Anpi di Lecco Enrico Avagnina, alle numerose rappresentanze e autorità civili (Parlamentari, Consiglieri regionali, provinciali e comunali, Assessori), militari (Sig. Questore di Lecco, Forze d’Arma) e religiose.

Un caro saluto a voi, cittadini lecchesi, che partecipate con convinzione a questa commemorazione viva, mai rituale, sempre attuale, come avremo modo di analizzare. Infine, un ringraziamento al Coro Alpino Lecchese e al Corpo Musicale “Alessandro Manzoni” – Città di Lecco che ci hanno accompagnato in questa mattinata.

Bene, ricordare il 25 aprile, ricordare l’anniversario della Liberazione dal regime nazifascista, significa ancorarci al primo valore fondante per il nostro Paese, per la nostra comunità e per l’Europa intera. Significa, infatti, affermare il primato della democrazia sul totalitarismo, il primato del dialogo sulla guerra, il primato dell’uomo sulla violenza.

Lecco celebra la Festa della Liberazione con profonda emozione: siamo città Medaglia d’Argento al valor militare per l’attività partigiana! Su decreto del Presidente della Repubblica, il 19 settembre 1974 quella medaglia ci venne consegnata per mano del Presidente della Camera dei Deputati Sandro Pertini: quella Medaglia d’Argento per la Resistenza risplende da allora con orgoglio sul Gonfalone cittadino.

Lecco, dunque, è stata in prima linea nella lotta partigiana, come ci ricorda ANPI, nel suo prezioso e infaticabile lavoro d’indagine e di ricerca della verità storica, lavoro per il quale li ringraziamo.

A Lecco la Resistenza ha indossato le tute blu negli scioperi della Badoni, della Bonaiti e della File del 7 Marzo 1944, la Resistenza ha beneficiato delle reti di supporto tessute dalle sorelle Villa di Acquate e da don Giovanni Ticozzi del liceo Classico.

La Resistenza ha passato il testimone di mano in mano tra decine di cittadini impegnati, che spontaneamente si sono organizzati offrendo le loro migliori capacità per liberarci dall’oppressione: ricordiamo ad esempio Riccardo Cassin e la sua Brigata Rocciatori, ricordiamo la battaglia d’Erna. Sì, perché tutti i luoghi della nostra città raccontano la Resistenza: le nostre strade, le nostre piazze, i nostri parchi, a Lecco, persino le nostre montagne gridano la Resistenza!

Quindi sia chiaro: Lecco sa bene da che parte stare, come lo ha scelto il 25 aprile del ‘45, così lo sceglie, da allora, ogni singolo giorno, fino a oggi 25 aprile 2023. Perciò qui non possono passare indifferenti dei tentennamenti da parte di rappresentanti dello Stato attorno ai temi dell’antifascismo.

I crimini atroci compiuti dal fascismo non possono conoscere né oblio né perdono. Anziché vivere il 25 aprile come momento identitario e unitario della nostra nazione, alcune recenti asserzioni rappresentano invece un pericoloso germe di revisionismo, una banalizzazione del ventennio più tragico e buio della nostra storia, uno schiaffo a coloro che diedero la vita per combattere un sanguinario regime e un’offesa a tutte le vittime delle persecuzioni. Una cifra distintiva del regime fascista è stata quella di negare il valore delle differenze quali ricchezze, e considerare perciò il diverso come nemico: fu così con le leggi raziali e l’allontanamento degli ebrei dalla vita civile, con la ghettizzazione e la repressione delle sue comunità, con la deportazione ed eliminazione di tanti concittadini per presunti motivi etnici (ebrei, Rom, Sinti), di orientamento sessuale, di disabilità, o per appartenenza politica. L’esatto contrario di una convivenza democratica, perché il fascismo è la negazione della democrazia.

Questa verità è scolpita nel primo articolo della nostra Costituzione: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. In quell’aggettivo “democratica” vi è la repulsione dell’Italia rispetto a tutto quanto democratico non è, nei modi, nei gesti, nelle parole e anche nei silenzi.

La Festa della Liberazione ci consegna, allo stesso tempo, un dovere infaticabile d’indagine e di denuncia, il dovere di scandagliare nelle pieghe dell’oggi, ci impone di interrogare l’attualità, per decifrare e condannare ogni segnale di violenza, di sopraffazione e di totalitarismo.

Per questo, è impossibile che oggi il pensiero non vada anche lì, in Ucraina, dove per il secondo anno consecutivo siamo testimoni di una piaga sofferente nel cuore dell’Europa: quel popolo il 24 febbraio 2022 si è “svegliato invaso”, come ha avuto modo di esprimere la nostra Cittadina Onoraria, la Senatrice Liliana Segre, e da allora sta combattendo la propria lotta di Resistenza e di Liberazione.

I numeri sono terrificanti: le Nazioni Unite hanno stimato almeno 8000 civili uccisi dall’inizio del conflitto, 5.3 milioni di sfollati all’interno dell’Ucraina, circa 8 milioni di rifugiati (pari al 18% della popolazione dell’Ucraina), circa 18 milioni di persone (circa il 40% della popolazione) che all’interno dell’Ucraina necessitano di aiuto umanitario, l’80% dei bambini ucraini in stato di povertà.

Davanti a questo quadro devastante è ancora più necessario rinnovare quegli imperativi che abbiamo evocato un anno fa: sapere senza ambiguità da che parte stare, perseguire per via diplomatica la pace quale bisogno vitale, scegliere come guida l’Europa di Ventotene.

Consentitemi un sincero ringraziamento a tutte quelle famiglie lecchesi che hanno accolto e che continuano ad accogliere i profughi ucraini, a quanti hanno donato, agli enti e alle realtà associative che si sono mossi con generosità per la popolazione ucraina. Ma soprattutto a tutti coloro che hanno sofferto le conseguenze dirette e indirette del conflitto, vedendo impattare la guerra sulla propria condizione economica e sociale.

Se dalla Liberazione è sorta la Democrazia, la Democrazia si fonda su un intreccio di diritti e di doveri individuali, sociali, civili, politici, che hanno quale propria base il riconoscere il primato dell’uomo in quanto uomo, di ciascuna persona, in quanto persona, quale depositaria assoluta di diritti universali e inviolabili.

Per questo motivo ciascuno di noi, tutti noi, cittadini italiani figli della Resistenza, sentiamo un brivido quando ci troviamo di fronte agli occhi il dramma dell’ennesimo barcone di profughi alla deriva nel Mediterraneo, perché lì vediamo un’umanità tradita, avvertiamo un brivido di fronte alla distesa di bare a Cutro, dove risuona ancora quel conteggio dell’ennesimo corpo ritrovato in mare, perché a Cutro si è consumato il naufragio della civiltà. Come possiamo, ancora, da Italiani figli della Resistenza, essere sordi al grido delle giovani ragazze Iraniane, rapite, seviziate, avvelenate perché vanno a scuola? Come possiamo restare indifferenti davanti all’esodo dall’Afghanistan? Come possiamo non riconoscere l’aiuto che merita a chi fugge da contesti di guerra o dalla repressione dei diritti umani (ultimo solo in odine di tempo il dramma del Sudan)?

Lo dico con forza: non possiamo sopportare una politica schizofrenica, che afferma principi universali nelle occasioni di circostanza, ma poi non riesce a trarne delle conseguenze pratiche né in Italia, né in Europa.

Per essere chiaro, il nostro Paese, pur in un quadro europeo, non può affrontare la questione migratoria, che ci coinvolge ormai da oltre 20 anni, decretandola quale situazione di “emergenza”, quasi che scaduto il decreto, tra sei mesi, sia finita anche l’emergenza. Magari!

Occorre essere ben consapevoli, perché forse non lo si è ben capito, che ci toccherà gestire un fenomeno certamente complesso ma ineluttabile. Il nostro Paese non può ancora, dopo 78 anni, cadere nella medesima trappola della propaganda contro questa o quella etnia, non può credere a tesi raffazzonate, secondo le quali sarebbe sufficiente innestare la bandiera della “difesa assoluta dei confini”, quasi che marcare il confine costituisse di per sé una soluzione. L’assurdità di questa tesi sta nei numeri: in questo avvio di 2023, gli arrivi sono addirittura triplicati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (dal 1° gennaio al 10 marzo 2023 sono sbarcati in Italia 17.592 migranti, il triplo dei 5.976 migranti sbarcati nello stesso periodo del 2022. Fonte: Ministero dell’Interno).

Occorre invece lavorare nella sfida dell’inclusione quale sfida di civiltà e di convivenza democratica. E la strada è già tracciata dal medesimo art. 1 della Costituzione, che ho già citato: la convivenza democratica è fondata sul lavoro. Occorrono regole che permettano di integrare le nuove risorse demografiche con un giusto lavoro adeguatamente retribuito: lo chiedono anche le nostre aziende.

Forse, il primo punto da cui partire consisterebbe nel riconoscere la cittadinanza a quei bambini e ragazzi che italiani lo sono di fatto, e mettere in pratica le migliori politiche d’inclusione, non di esclusione, con la partecipazione di tutti, delle istituzioni, del volontariato, della Chiesa, dei privati cittadini che da noi hanno sempre dimostrato grande generosità.

In conclusione, è chiaro a tutti perché in questa Città non è retorica festeggiare il 25 Aprile e perché il 25 aprile interroga all’azione sui temi dell’oggi.

Chi festeggia il 25 aprile a Lecco non fa solo “memoria”, ma rinnova un “impegno”: un impegno che non possiamo delegare ad altri, un impegno che ha la cifra della nostra responsabilità, un impegno a lavorare per una società più giusta, una società che oggi ha orizzonti globali.

Un impegno cha ha come base e come programma la nostra Costituzione.

Viva Lecco! Viva l’Italia! Viva il 25 Aprile!”