Cinema Nuovo Aquilone, tutto esaurito per Antonio Albanese e Cento domeniche

Antonio Albanese al cinema Nuovo Aquilone

Impegnato nel lungo tour promozionale del suo ultimo film da regista e interprete, Antonio Albanese ha fatto tappa ieri nel suo territorio lecchese, dove ha deciso di ambientare Cento domeniche, da giovedì 23 novembre nelle sale cinematografiche italiane e ieri programmato con una doppia proiezione al cinema Nuovo Aquilone, alle 17.30 e alle 21.00 con la presenza in sala di Albanese, che ha intrattenuto il pubblico sul palco del cinema cittadino raccontandosi e raccontando aneddoti della lavorazione, perfettamente a a suo agio in mezzo a quella che, di fatto, è la sua gente.

Antonio e la sua comunità

«Il film ha cominciato la sua corsa ieri [giovedì 23] e avere Antonio [Albanese] qua da noi al secondo di promozione vuol dire ricevere un grande attestato di stima come Nuovo Aquilone, come città e come territorio. Grazie per questo regalo» ha esordito Mons. Davide Milani, presidente di Fondazione Ente dello Spettacolo «La sala nel Nuovo Aquilone l’abbiamo inaugurata con te, la cabina di proiezione porta la tua firma quindi a casa tua dovevi tornare molto presto. Grazie per questo lavoro, siamo molto fieri che tu l’abbia fatto nella nostra terra ma siamo fieri non solo perché abbiamo visto e apprezzato qualche scorcio dei nostri territori, di Olginate, del lago, delle nostre montagne e qualche scena girata anche a Lecco. Siamo orgogliosi perché hai interpretato lo spirito migliore delle nostre terre. Gente buona che lavora, che ha progetti molto solidi e che ha fiducia, che vuole tramandare questa staffetta della vita alle nuove generazioni e che confida nelle parole date, nella forza delle mani. Sei fiero di questa terra e hai saputo metterla in scena bene»

«È molto semplice: è un territorio che conosco, che ho sempre apprezzato per tanti motivi» dichiara Albanese «Io sono stato tatuato da questo territorio. Quando ho cominciato a pensare al film una delle prime cose è stato il territorio e il luogo. Un anno e mezzo fa circa ho invitato lo scenografo, che è di Parma e non conosceva questo posto, e lui mi ha proprio detto ‘è perfetto’. Volevo circondarmi di persone che conosco e che reputo brave persone, lavoratori. Avevo bisogno di questa solidarietà e mi sono trovato molto bene, lo dico sempre. Solo quando abbiamo bloccato la strada in via Sant’Agnese qualcuno si è arrabbiato [ride]. Chiaramente, il cinema qua non è mai arrivato e l’abbiamo bloccata per un giorno e mezzo. Allora arriva un signore e mi fa ‘Se venu chi a rump i ball?’. Per me è molto emozionante tornare e rientrare nella fabbrica dove ho lavorato qualche anno, penso che sia una curiosità più unica che rara. L’unico attore al mondo a fare una scena nello stesso tornio in cui ha lavorato. Ero anche un bravo tornitore! Ero orgoglioso di questo. Poi c’era una sorta di centrale nucleare che doveva scoppiare e ho lasciato il certo per l’incerto»

«Molti si aspettavano la promozione del territorio grazie al film di Antonio [Albanese], la bellezza del paesaggio, le montagne e il lago. Invece c’è stata una grande operazione di trasfigurazione la sua; rende vivide le immagini del paesaggio, del territorio e di quella bellezza e rende belle le persone autentiche. Il vero panorama della natura sono le persone, questo vuol dire avere un animo e una spiritualità intensa» ricorda Milani.

«Sì, sennò diventava un documentario» chiosa il regista. «Un grande rimosso del cinema italiano» interviene Gian Luca Pisacane, critico cinematografico del cinema Nuovo Aquilone «purtroppo è proprio il lavoro. Al cinema se ne parla pochissimo e meno ancora del mondo operaio. Magari è qualcosa che è insito più all’estero, uno su tutti Ken Loach, che in qualche modo può anche ricordare questo film. Da dove nasce il film? Mi raccontavi anche una sorta di fusione con una persona che hai visto in televisione»

«Sì, mi è capitato di vedere un’intervista tra le tante. Mi sono soffermato su un gruppo di persone e tra queste c’era uno che mi assomigliava proprio fisicamente, e mi sono detto ‘Potevo benissimo essere io’. Per età, tanti motivi. Potevo benissimo essere io quella persona. Allora ho cominciato a informarmi, a leggere, rileggere. E poi ho cominciato a chiedere consulenze e ho trovato due veri professionisti; un giornalista, uno dei più grandi esperti di questo tema, il direttore del Giornale di Vicenza Marino Smiderle. Ma l’incontro che mi ha acceso la lampadina e mi ha fatto dire ‘Questo film lo devo fare assolutamente’ è stato l’incontro con una psicologa che da un decennio assiste queste persone che perdono il sonno. Allora mi sono fatto dire un po’ di cose, la dottoressa si chiama Emilia Laugelli. Mi sono innamorato del progetto. Perché dico questo? Perché quando ho presentato il progetto non ho trovato la fila di produttori fuori casa. Ho trovato un produttore meraviglioso, Carlo Degli Esposti di Palomar. Con lui avevo appena fatto Grazie ragazzi, uscito un anno, e avevo fatto anche L’intrepido di Amelio. Lui sapeva della mia piccola possibilità produttiva e mi ha detto ‘Con la tua piccola possibilità produttiva possiamo farcela’. Allora mi sono rimboccato le maniche e mi sono detto ‘Io sento proprio il bisogno di farlo, ho la gioia e la voglia di farlo’. Dico questo perché ci sono dei progetti che a volte non sono così facili da affrontare, come io in teatro quando mi produco da solo, sono indipendente e decido di fare quello che voglio, i racconti li scelgo io e non sono per forza condizionato da altri. Questa è anche una caratteristica lacustre. È stato un problema che poi abbiamo risolto, ci siamo ritrovati qui tra Olginate e Lecco, questa meravigliosa comunità che ci ha aiutato tantissimo e continuerò a ringraziare per questo motivo. E siamo riusciti a realizzare un film che io volevo. Io volevo questo film, e per questo sono particolarmente contento. Sto ricevendo dei messaggi da amici e non amici meravigliosi che non ho mai ricevuto dopo 28 film. Non ho mai ricevuto dei messaggi così potenti, così belli, impetuosi. Sono molto contento per questo»

L’aneddoto su Giulia Lazzarini: «La divina Giulia Lazzarini, che interpreta mia madre, è venuta in vacanza qua, ha chiesto casa. Ha detto ‘Mi trovate una casa?’. A Barzio. È venuta con la sua badante e ha detto ‘Ma che bello questo posto’»

«Posso confermare che quando mi parlavi del film realizzassi un concetto di famiglia. Come se crescessi un figlio o accompagnassi all’altare una figlia. Un progetto tuo personale, una cosa da fare» afferma Milani.

«Lo sentivo moltissimo e lo capisci perché in ogni minuto cercavo di trovare la strada migliore, anche negli incontri con gli autori, la scelta degli attori, non casuale. Ho visto decine e decine di spettacoli per capire se quella persona e quell’attore poteva andare bene, se Marianna Fogli era perfetta per quello. Tra scrittura e realizzazione questo film ci ha impegnati due anni circa ed è stato bello, veramente»

«In alcuni momenti ti vedevo molto scosso. Non tanto per le fatiche lavorative ma per l’identificazione e la conoscenza della storia. Immagino che molte scene siano state sofferte. Qual è quella che ti ha messo più in difficoltà?» chiede Milani.

«Ho avuto anche due tre momenti di imbarazzo nei confronti del set. Tipo la scena della banca. Credetemi, io amo fare l’attore, mi piace immedesimarmi. Quando ho girato la scena finale nella quale ricordo al direttore della banca di portare le scuse a mia figlia, a livello recitativo bisogna cercare di immedesimarsi il più possibile. Io ho una figlia che ha la stessa età dell’interprete del film, Liliana Bottone, e somiglia anche un po’. Per recitare ognuno ha il proprio metodo però mi sono immedesimato talmente tanto che ad un certo punto ho bloccato la troupe e ho detto che mi dovevo isolare un’oretta perché ero andato un po’ oltre la finzione. È stato emotivamente molto faticoso, fisicamente no, non mi ferma nessuno. Emotivamente lo è stato proprio per cercare di rappresentare quella cosa che il pubblico non conosce e neanch’io. Il dolore enorme fisico e psicologico che provano queste persone che vengono tradite. Quello non è mai stato rappresentato come in questo caso quindi io volevo nobilitarlo e rappresentarlo nel migliore dei modi. Ho chiesto aiuto anche agli altri attori però io mi sono calato al 200%. È bello perché fa parte del mio lavoro però è emotivamente faticoso»

Le musiche del film: «Sono di Giovanni Sollima, uno dei violoncellisti più famosi del mondo. Io ho lavorato con lui alla Scala. A lui avevo chiesto un tema prima dell’inizio delle riprese. Gli dissi ‘Preparami un tema che faccio ascoltare agli attori prima di entrare in scena’. Perché la musica ti avvolge, la musica è la provincia, è questo disagio. Però ho detto ‘la musica entrerà nella seconda parte’. Nella prima parte dobbiamo far sentire i rumori della provincia; il tornio si deve sentire bene, si deve sentire bene la fabbrica, il rumore dei cancelli, il rumore del fiume. Si deve sentire bene. È importantissimo proprio per entrare in questa provincia che stanno apprezzando tutti. Ieri mi ha chiamato un mio amico di Cagliari che l’ha visto lì e mi ha detto ‘Eja, che bel posto! Sei cresciuto lì?’, e io ‘Sì, tra lago e boschi’»

La presentazione alla Festa del Cinema di Roma: «Alla prima a Roma ero in incognito» interviene don Davide Milani «e sentivo i commenti:’Dove l’han girato? Dov’è quel posto? In Trentino?’. E poi l’han chiesto a me ‘Ma lei, ho visto che partecipava, ha salutato Albanese, sa dove l’ha girato?’. E io ‘Ma certo!’»

«Io dico sempre anche una cosa» riprende il discorso Albanese «Io sono nato al lato della diga, proprio lì a Olginate. Dico sempre questo, che ci sono le mie due metà: a sinistra c’è il bacino del lago di Garlate, che è fermo, serio, saggio. Anche un po’ presuntuoso. Di qua, dopo la diga, comincia a ridere, comincia a sorridere. E lì c’è l’altra mia metà»

«Perché secondo te» interviene Pisacane «Sia a livello cinematografico che a livello di televisione e società si parla pochissimo del mondo operaio?»

«Perché per fare questo lavoro devi avere una sorta di sostegno economico quindi ci son pochi operai. Io quando ho lasciato il certo per l’incerto mi hanno preso all’accademia d’arte drammatica e sono stato molto fortunato, ho dovuto lavorare di sera per mantenermi mentre moltissimi no, perché magari erano di estrazione sociale diversa, avevano un appoggio dei genitori perché l’accademia è come l’università. Io mi ricordo che in uno dei primissimi saggi che ho fatto in accademia un regista belga venne e disse ‘Ora troviamo questa piazza, da questa parte gli operai’. E due o tre miei compagni dissero ‘Operai?’, non li avevano mai visti. Io provenivo da lì. Tu hai citato Ken Loach. Ken Loach non arriva da lì però ha questa meravigliosa fissazione, poi il mondo anglosassone ha problemi diversi, con la Thatcher e tutto il resto. Il tema del lavoro per me è sempre stato fondamentale; io nel 1997 con Michele Serra ho scritto Giù al Nord, che parlava di lavoro con il Perego… eh, ‘Vada via al cul’ proviene da qui! E poi ho lavorato con Soldini quando ho fatto Giorni e nuvole. Quindi, il tema del lavoro per me è molto caro. Come dico sempre, sono cresciuto in una famiglia con un padre che lavorava fisicamente, e andava a letto non perché non c’era niente in tv ma perché era fisicamente stanco, quindi il lavoro manuale e artigiano per me è molto caro. Sono sempre stato affascinato da questa cosa. In questo caso ho trattato il mondo del lavoro come volevo farlo io e come conoscevo. Per me è un tema abbastanza importante, per esempio Ken Loach mi piace tantissimo, come Mike Leigh, e sto aspettando il nuovo film di Kaurismaki. Mi piacciono anche quei registi che trattano le persone normali, quelle che vivono alla giornata, che hanno meno fortuna di altri. Un certo tipo di borghesia a me annoia moltissimo»

«Amiamo Ken Loach ma vedete la differenza? Loach subordina la vita al lavoro; l’uomo è un lavoratore e deve poter lavorare bene. Antonio fa un’altra operazione: il lavoro serve per la vita. E poi ci si identifica e si fa fatica a staccarsi da quel tornio anche se si è raggiunta la pensione ma il tuo personaggio e la tua visione del lavoro è che serve per la vita, per andare avanti» afferma Milani.

«Sono sogni normali che possono sembrare assurdi ma sono sogni normali» ribadisce Albanese.

«È stato difficile lavorare in questo territorio? Lasciando perdere l’aspetto emotivo, sentimentale e di appartenenza» chiede Milani.

«Non è stato difficile, tranne chiaramente spiegare ai signori di Olginate che bisognava bloccare via Sant’Agnese! Però li capisco! Uno degli aneddoti più carini lo voglio raccontare: ad un certo punto lo scenografo mi dice ‘Antonio, ho trovato l’appartamento perfetto, dove si vede il lago’, che è l’appartamento del mio personaggio, in quel condominio anni ’60 che si trova vicino alla rotonda per andare a Consonno. Entro in questo appartamento e c’era la proprietaria ‘Buongiorno signora, conoscevo suo padre’, gentilissima. Io ero concentrato e c’era un muro enorme, di là c’era la cucina, di lì il salone e poi l’entrata. Allora guardo lo scenografo e gli dico ‘Marco, qui dobbiamo buttar giù il muro’. E lui ‘Ma è perfetto l’appartamento, di là si vede il lago, ‘Bisogna buttar giù il muro’. E me ne vado. Dopo un po’ mi richiama e mi fa ‘Antonio, c’è un problema. Non ci dà più l’appartamento’. E io ‘Perché?’. E lui ‘Eh, le hai detto che dobbiam buttar giù il muro’. Allora torno indietro e la signora ‘No eh, no basta Antonio, buttar giù il muro?’ E volevo dirle ‘Ma è più bello!’. E lei mi fa ‘Ma te se matt te!’. E dissi ‘Ma glielo rimettono più bello e addirittura le faccio riverniciare tutto l’appartamento!’. E lei ‘Ah. C’è il bagno da ritoccare’. Ma io la capisco benissimo, se venissero a casa mia e mi dissero che c’è da buttar giù il muro direi ‘Senti, lascia stare’. Però io non ci pensavo in quel momento, ero concentrato»

Altri aneddoti dal set: «La banca l’abbiamo interamente costruita, era tutto finto. Una sera c’era un signore responsabile perché dentro quel negozio, che tra l’altro era un alimentari quando ero bambino, c’erano tutte le cineprese e una guardia notturna che controllava. Mi ha detto di aver visto due o tre persone che andavano a mettere il bancomat. Ma era finto! Oppure, un’altra cosa curiosa e a me piace ridere di queste cose; fare cinema sembra una passeggiata ma ho perso anche degli amici, è durissima. Arrivi alle 06.00 di mattina e vai via alle 08.00 di sera magari per girare 42 secondi. Ad un certo punto c’era una scena di gruppo, con una sessantina di comparse che erano lì da quattro ore ferme. Allora ogni tanto c’era qualcuno che mi conosceva e mi diceva ‘Antonio, alura?’. E io ‘Dobbiamo aspettar la nuvola’. E lui ‘La nuvola?’. ‘Sì, perché con il sole non giriamo, dobbiamo aspettare la nuvola’. Tornava dagli altri e diceva ‘Eh, dobbiamo aspettare la nuvola’. Pensate che una volta dovetti girare un film in cui dovevo fare un incidente con la mucca. In macchina doveva in quella scena, ubriaco, dovevo svoltare e trovare una mucca. Dovevamo girare di notte e solitamente è così, dalle 20.00 alle 06.00 di mattina. E le prime notti sono lunghissime. Allora andiamo sul set alle 19.00, facciamo il trucco. 20.00 pronti, no. 22.00 pronti, no. Erano le 03.30 di mattina e non avevamo ancora girato. È arrivato Rémy Julienne, lo stunt-man che doveva entrare e fare, io ho detto ‘Io non salgo’. Alle 4.30 di mattina, io non avevo capito, era il mio primo film, c’era la scena ed era questa: non puoi andare addosso ad una mucca, quindi macchina ferma, mucca semirincoglionita ad azione si andava in retromarcia, davano una scossettina alla mucca che si alzava e poi montavano all’incontrario. Solo che la mucca… Alle 05.30 è uscito il contadino con il fucile. Ho guardato il regista e ho detto ‘Vado in roulotte, te la vedi tu’»

Risate, domande e il saluto della propria comunità. Cento domeniche sarà proiettato al cinema Nuovo Aquilone anche oggi alle ore 21.00 e domani, domenica 26 novembre, alle ore 17.30 e alle ore 21.00.